LAVORO E SVILUPPO

Secondo i dati ISTAT dell’anno 2018, rispetto a una media unione europea di 66,5% occupate tra 20 e 64 anni, l’Italia si trovava al penultimo posto con il 52,5%, appena sopra la Grecia (48%). Il gap occupazionale aumenta se si confrontano i soli uomini e donne con figli. Rispetto a una media europea di 18,8 punti percentuali di distanza tra padri e madri occupate, l’Italia si trovava al di sopra di quasi 10 punti (28,1). Nel 2018, il 32,4% delle donne italiane occupate (15-64 anni) lavorava part-time contro solo l’8% degli uomini. L’Istat stimava che il 60% del part-time fosse involontario, cioè deciso dall’azienda. La crescita dell’occupazione femminile ha un numero notevole di conseguenze positive: aumenta l’autonomia delle donne, il benessere delle famiglie, è un importante volano per aumentare l’occupazione complessiva e il numero delle imprese. Vari sono i motivi di questo divario tra i generi nei livelli di occupazione e nelle possibilità di carriera: dallo scarso appeal che i datori dimostrano per l’assunzione di donne, in particolare giovani e potenzialmente fertili, alla scarsa condivisione tra i sessi del lavoro di cura familiare, all’insufficienza di strutture di supporto alla genitorialità.

Nel 2019, erano 37.000 le donne che hanno lasciato il lavoro dopo la nascita del primo figlio. Tra i Paesi europei, l’Italia è il penultimo in quanto a tasso di fecondità. A guidare la classifica sono Paesi in cui il tasso di occupazione femminile è più alto. La rinuncia ad avere figli o il posporre la maternità sine die, nasce dalla paura di perdere il lavoro, o non trovarlo. Paura particolarmente forte per coloro che hanno forme di lavoro non stabile, anche laddove formalmente si possono configurare come rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Durante la pandemia, il lavoro agile o smart working, anche se con modalità più vicine a quelle del lavoro a distanza, ha rappresentato l’unica possibilità per il mantenimento della produzione per molte aziende private, con conseguenze positive dal punto di vista della riduzione dell’inquinamento e della sostenibilità ambientale.

Questa trasformazione ha introdotto, altresì, un processo di evoluzione anche nello svolgimento delle attività della Pubblica Amministrazione grazie all’uso degli strumenti tecnologici. Il lavoro agile rappresenta una modalità organizzativa del rapporto di lavoro subordinato, da svolgersi mediante accordo tra le parti, con impostazione delle attività per fasi e obiettivi, senza precisi vincoli di orario o luogo di lavoro. Tale modalità, indicata per i settori/tipologie che consentono un lavoro cognitivo e intellettuale, può rappresentare uno strumento per le donne e gli uomini per conciliare tempi di vita e di lavoro, stando bene attenti affinché il lavoro agile non diventi un mero strumento di conciliazione del lavoro di cura con quello stipendiato, destinato alla sole donne. Questo cristallizzerebbe infatti una divisione dei compiti nelle famiglie che andrebbe a discapito della condivisione della cura dei figli e/o degli anziani e/o della casa, che penalizzerebbe ulteriormente le donne. Inoltre, se l’assenza dal luogo di lavoro si configurasse come modalità prevalente del lavoro agile, è evidente che marginalizzerebbe la lavoratrice e il lavoratore dal punto di vista delle opportunità di relazione, della formazione e della carriera. Quindi, superata l’emergenza, dovrà aprirsi una riflessione su queste nuove modalità di lavoro perché non diventi un’innovazione che rischia di aggravare ulteriormente la già difficile condizione delle donne che lavorano.

Per superare le difficoltà che abbiamo ed avremo di fronte, sarà fondamentale ribaltare il modello tradizionale della divisione del lavoro, in cui si presume che l’uomo sia dedicato al lavoro retribuito e la donna al lavoro di cura e sperimentare nuovi modelli in cui lavorano entrambi, impegnandosi in egual misura nell’attività professionale e in quella di cura, realizzando progetti di genitorialità equamente condivisa. Sarebbe dunque opportuno attuare politiche di sostegno all’occupazione femminile con interventi politico culturali ed economici che, partendo dalle diffuse criticità del lavoro delle donne, producano forti cambiamenti: aumento della partecipazione al lavoro produttivo, modifiche delle condizioni di lavoro nei diversi settori, potenziamento delle norme contro le discriminazioni e le molestie, qualifica del welfare per diminuire le difficoltà di accesso e permanenza nel mondo del lavoro. La Regione Toscana si è impegnata più di altre in interventi di formazione e a sostegno delle aziende che investono in giovani qualificati, ma manca ancora un focus specifico sull’occupazione femminile, sia in relazione all’incremento delle assunzioni che in merito ad una migliore qualificazione dell’offerta e alla rimozione degli ostacoli alle carriere femminili, nel mondo del lavoro e nella società. Le donne sono una risorsa fondamentale per l’Italia e per la Toscana, avendo una leadership più collaborativa ed inclusiva, maggiore attitudine relazionale e capacità innovativa.

Dobbiamo partire da loro, da noi, per aprire una nuova pagina in cui la diversità diventi una valore irrinunciabile. Ci sarà per questo sempre più la necessità di rivisitare gli assetti organizzativi non vincolanti alla presenza ma alla capacità di sapersi adattare alle nuove condizioni ed esigenze, premiando la qualità della prestazione e non la presenza a lavoro, in cui spesso gli uomini sono vincenti.

Ecco alcuni interventi proposti:

  • leva fiscale che favorisca chi assume donne e soprattutto giovani madri con figli o potenzialmente fertili;
    investimenti con fondi europei per il riequilibrio tra i generi;
    nuovi fondi per interventi post-lockdown, ricorrendo anche a quelli dell’Unione europea;
  • potenziamento dell’orientamento al lavoro per le nuove generazioni;
    rafforzamento collante scuola-università-lavoro;
  • contributi a fondo perduto per la digitalizzazione, per l’avviamento e per il credito d’imposta Formazione 4.0, considerando che un quinto delle imprese attive sono femminili;
    agevolare l’accesso al credito;
  • promuovere l’agroecologia abbinata alla digitalizzazione delle aziende agricole;
    istituzione di un “Women Rural Hub” dedicato all’impresa agricola femminile che funga da Osservatorio ma anche da incubatore, acceleratore e luogo che promuove la formazione dell’imprenditoria femminile in agricoltura;
  • rimozione del digital divide;
  • aumento della digitalizzazione della PA;
  • incentivi per formazione del management e dei dipendenti delle aziende con lavoro agile, in maniera continua, secondo una logica per progetto ed obiettivi, superando la logica delle scadenze e aumentando l’efficienza;
  • riconoscimento del marchio di qualità per progetti di lavoro in cui si eleva il livello di efficienza e la valorizzazione professionale delle dipendenti e dei dipendenti, nell’ottica della parità di genere.

La possibilità di lavoro e il miglioramento delle condizioni in cui esso si svolge, consentendo una maggiore autonomia femminile, potranno rendere più facile alle donne sottrarsi alla violenza domestica. Tuttavia, anche l’ambiente di lavoro può presentare situazioni di molestie e violenza, manifestazioni di potere e discriminazione. L’intervento regionale dovrebbe mettere in contatto/sinergia gli organismi che già si occupano di questi temi – comitati unici di garanzia e comitati pari opportunità di istituzioni e aziende, centri antiviolenza – opportunamente finanziati – con la consigliera di parità, eventualmente affiancata da un osservatorio. Serve poi l’istituzione di una sorta di «sistema premiante» che conceda agevolazioni alle aziende pubbliche e private che si dotano di un sistema di autocontrollo volto a ridurre al minimo – fino poi ad eliminarlo – il rischio di discriminazioni di genere e molestie sul lavoro. Per attivare il suddetto sistema premiante ogni azienda dovrebbe dotarsi di un regolamento aziendale in materia, in linea con i principi della convenzione di Istanbul, ed impegnarsi per farlo rispettare, attivando sessioni formative sul regolamento di genere e sulle sue applicazioni, dirette da personale esterno accreditato.